Di corsa (o quasi) su per i colli

D’accordo questo blog è dedicato all’Arte di Camminare e la corsa non ci azzecca proprio.
Ma questa esperienza podistica invernale era troppo divertente per rinunciare a raccontarla.

Domenica 27 gennaio 2019, ore 8.30: una podista (poco convinta) attraversa i vigneti sulle colline di Cavriana. C’è un po’ freddino! Ma io e Chiara siamo devoti alla Torta di San Biagio e dobbiamo stringere i denti fino all’arrivo dove ci attende una fetta di questa prelibatezza De.Co.
Il traguardo è a Villa Mirra (dove dormì Napoleone III). Ma noi ci accontentiamo di una fetta di torta, il pernottamento lo lasciamo agli “imperatori” (nella stanza omonima).

Dal punto di vista sportivo abbiamo creato una nuova disciplina. Anni fa, alla Camminata del Po, quando Chiara era piccola avevamo ideato il “Nuovo Triathlon” che era: in parte di corsa, in parte a camminare e in gran parte in braccio.

Oggi qui alla StraBiagio abbiamo concepito il “MultiThlon” ovvero:
1) un po’ di corsa
2) un po’ a camminare
3) un po’ a caminare per mano
4) trascinamento di adolescente, a “corpo morto”, in salita
5) pausa ristoro
6) pausa selfie
7) pausa e basta
8) “allacciascarpa”
9) ri-allacciascarpa dopo 20 metri dal punto 8)

Arrendersi allo stupore è la chiave di tutto


Camminare non è il mezzo per raggiungere un luogo. Quello semmai possiamo chiamarlo, più prosaicamente, spostarsi. Camminare è piuttosto attraversare mille luoghi diversi e, ad ogni passo che si compie, essere raggiunto da quei luoghi e dalle persone che incontri.
Questa è anche la lettura suggerita da un piccolo libro di Paolo Rumiz. “A Piedi” è il racconto di una traversata, da nord a sud, della penisola istriana. E’ un racconto dedicato ai più giovani e, in effetti, il registro linguistico è pensato per parlare ai ragazzi. Tuttavia questo breve racconto di viaggio può interessare “camminatori” di ogni età.

Devo ammettere che, mentre sfogliavo queste pagine, mi è venuta la tentazione di partire per l’Istria. Volevo scoprire i luoghi e conoscere i personaggi descritti in quelle paginette. Poi ho capito: questo viaggio di Paolo Rumiz non è più speciale di altri. Quello che conta non è il luogo ma il “come lo attraversi”, un viaggio non è speciale se il viaggiatore non è capace di stupirsi e meravigliarsi. Da questo punto di vista allora il “camminare”, per usare le parole dell’autore, diventa un “portare a spasso il bambino che è in me”.

Ma io non saprei trovare parole migliori di quelle di Rumiz, quindi lascio che sia lui a parlare:
Così ho dovuto fare quello che mi aveva detto anni prima il vignettista Francesco Altan al momento di partire con me per una grande traversata in bicicletta verso Istanbul.
Dovevo – ripeto le sue parole – “portare a spasso il bambino che è in me”. Significava che dovevo cercare di vedere il mondo con lo stesso occhio incantato di quando avevo dieci anni, leggevo i diari di bordo di Cristoforo Colombo o le avventure di Magellano dalle parti di Capo Horn, seguendone minuziosamente il tragitto su un vecchio atlante Zanichelli. Arrendersi allo stupore è la chiave di tutto. Il viaggio non è fatto per quelli che hanno smesso di meravigliarsi della vita.



Orogenesi cartografica

A volte le scoperte (o le riscoperte) nascono da un caso. Ho ritrovato casualmente, giù in garage, una monografia di ALP dedicata al Civetta (Luglio 1998, costo 12mila lire, con cartina 1:25.000 in allegato).

Da questo piccolo indizio ho cominciato a scavare, tra scatoloni e scaffali, ed è riemerso un piccolo tesoro cartografico accumulato nel corso di decenni e, da parecchio tempo, esiliato dalla libreria di casa per motivi di spazio.

Dalla Val Bregaglia all’Appennino Pistoiese, dal Brenta alle valli di Fiemme e Fassa, dalle Dolomiti di Sesto a quelle Bellunesi, e poi Adamello, Marmolada, Valtellina, Resegone, Lunigiana, tanta Toscana Insomma una sorta di “orogenesi cartografica” ha avuto luogo in casa mia.

Ovviamente non mancherà, nemmeno nel 2019, una tappa nella Valle del Reno, tra Porretta Terme e Sambuca Pistoiese per farmi guidare, tra i castagneti di Campeda, dal caro vecchio Sante. Ma poi ci sarà solo da vincere l’imbarazzo della scelta per scoprire nuove tappe in questo patrimonio cartografico. Non ho ancora infilato gli scarponi e sto già godendo!

Una promessa per il 2019 che sta iniziando: questo sarà l’anno dedicato alla montagna. E un solo anno forse non basterà…

Galeotto fu l’8 settembre!

Sarò forse un inguaribile romantico ma non resisto al fascino di certe storie.
Il caro Sante mi ha fatto “cuccare”, per la seconda volta, la mostra fotografica su Campeda: quindi adesso sono io a meritarmi l’appellativo di Santo 🙂

Ma la storia dei suoi genitori, narrata in uno dei cartelli, ha sempre un fascino da film hollywoodiano.
Siamo nel ’43, dopo l’armistizio è il caos totale. Scattano i rastrellamenti dei giovani che vengono arruolati, al centro nord, nell’esercito della Repubblica di Salò.
Domenico Ballerini, che ha già regalato ai Savoia 10 anni da soldato, ora ne ha le palle piene. Così scappa, come tanti altri giovani, sulle montagne. La destinazione, per lui che vive a Molino del Pallone, è il piccolo borgo di Campeda.
C’era già stato una sola volta in vita sua. Ma ora, al suo ritorno come “imboscato”, vi incontra Maria Vivarelli. E i due vivranno per sempre felici e contenti… dando alla luce il nostro Sante.
Galeotto fu l’8 settembre! Non è forse materiale per un colossal romantico in stile Hollywoodiano? #vacanzaunaetrina

I Cobra con la pipa

Nel 2014, proprio qui in Campeda, feci la scoperta di una storia a me ignota (perché, lo ammetto, ero ignorante).

E’ la vicenda della FEB (Força Expedicionária Brasileira) che partecipò, con 25mila uomini, alla liberazione dell’Italia proprio qui, sulla Linea Gotica.

Mi colpì la vicenda di questi soldati brasiliani mandati, dall’altra parte del mondo, a liberare un popolo con il quale non avevano nulla in comune.

E ciò che mi fa impazzire, ancora oggi, è l’autoironia nel nomignolo adottato da questi soldati: i “Cobra Fumanti” (il loro stemma infatti è un Cobra con la pipa).
Il nome e lo stemma derivano, per un ironico contrappasso, dalla dichiarazione, rilasciata allo scoppio del conflitto, dal Presidente del Brasile: “è più facile che un serpente fumi che il Brasile entri in guerra”.
La FEB ci insegna due cose:
1) si può affrontare anche la guerra senza perdere l’autoironia;
2) I politici sono sempre pessimi come profeti, qui come in Brasile.

Fuori dai boschi, l’arrivo a Pavana

Dico subito che la risposta è NO.

Lo so cosa volete sapere ma, qui a Pavana, NON abbiamo incontrato Guccini.

Siamo passati davanti alla sua casa ma, per ovvie ragioni di privacy, ho evitato di fotografarla.

La foto al cartello del paese invece è un “must”. Ho visto gente farsi il selfie di fronte ad esso.

Io ho preferito immortalare la diga e il bacino artificiale costruiti, dalle Ferrovie nel 1925, per elettrificare la linea Porrettana. Non so se abbia un pregio architettonico ma, nella sua peculiarità rispetto alle solite dighe, questo manufatto di inizio ‘900 mi affascina.

Le altre foto testimoniano la giornata nei boschi campedani e la nuova disciplina olimpica che voglio lanciare: il salto del tronco. #vacanzaunaetrina

Una ferrovia risorgimentale

L’immagine già postata da Molino del Pallone mostra, non a caso, la stazione. E adesso vi beccate la filippica sulla Porrettana 🙂

La ferrovia detta appunto “Porrettana” è la linea transappenninica che collega Bologna e Pistoia. Con i suoi numerosi viadotti e gallerie fu una sorta di “TAV dell’800”.

All’epoca era una linea fondamentale per il collegamento tra il Nord e l’Italia Centrale.

L’idea di questa ferrovia venne proposta, nel 1845, al Granduca di Toscana. Lo stesso Cavour, in uno scritto del 1846, sottolineava l’importanza di questa strada ferrata. La costruzione, in quella fase di mutamenti geo-politici, venne confermata dal Regno di Sardegna quindi, successivamente, portata a termine dal neonato Regno d’Italia.

Cercando queste informazioni ho scoperto, per caso, che all’epoca tra i progetti dell’impero austro-ungarico c’era una linea Reggio Emilia – Borgoforte. Il progetto, che per gli austriaci aveva un’enorme valenza strategico-militare, venne poi abbandonato dal Regno d’Italia.

Le valli attraversate dalla Porrettana sono un fantasma di quelle dell’800. Le ha svuotate l’emigrazione nel ‘900. E la ferrovia oggi resta appesa ad un filo, sotto la spada di Damocle della chiusura.

Ma esiste anche una proposta per farne un patrimonio Unesco. #vacanzaunaetrina

Nei boschi di Campeda

Un esercito di alberi si muove minaccioso. Non siamo nel Macbeth bensì nei boschi di Campeda.

Non ho mai visto una montagna così friabile e degli alberi così “inclini” a cercare l’abbraccio del suolo. Questo è l’appennino di Campeda, piccola frazione del comune di Sambuca Pistoiese.

Sempre guidati dal mitico Sante Ballerini abbiamo scoperto questo piccolo agglomerato di case dalla storia pluri-secolare.

Campeda, ultimo baluardo del Granducato di Toscana, si affaccia sulla valle del Reno. E di fronte a noi, sul versante opposto della vallata, possiamo ammirare Granaglione e Lustrola (in provincia di Bologna).

Io ero già stato qui nel 2014 ma ogni volta è una scoperta. Questo minuscolo agglomerato di case, con la chiesetta del ‘600, è tenuto vivo da un manipolo di volontari costituito dai proprietari delle case del borgo.

La montagna, abbandonata alla sua sorte, piano piano si sta riprendendo la terra occupata, per molti secoli, dagli umani. Ed è un peccato perché l’erosione della montagna cancella un territorio ricco di Storia e, in questo modo, consegna all’oblio la sua Memoria.

Questa è da sempre terra di confine e, come tale, ricca di storie.

È stata il teatro di una guerra che, per un anno durissimo (1944-45), ha diviso l’Italia sulla Linea Gotica. Una terra che ha pagato col sangue la sua resistenza antifascista.

Domani la mia #vacanzaunaetrina prosegue nei boschi in direzione Pavana.

Eccoci qui, nella valle del Reno

In questa prima giornata sull’appennino pistoiese ci siamo regalati, grazie alla guida appassionata e coinvolgente di Sante Ballerini , una visita all’antico borgo di Sambuca. Un luogo da favola.

Eccoci qui, nella valle del Reno: con un piede a Bologna e l’altro a Pistoia.

Ci siamo “arrampicati” alla scoperta della rocca medioevale ove visse, per alcuni anni, Selvaggia dei Vergiolesi: la donna che ispirò il poeta stilnovista Cino da Pistoia.

Abbiamo visitato la pieve dei Ss. Jacopo e Cristoforo restaurata, grazie all’impegno pluridecennale di alcuni volontari che, a questa chiesa di origine romanica, hanno dedicato tutta una vita.

Il piccolissimo borgo, disabitato per buona parte dell’anno, sorge su un diverticolo della via Francigena (che qui prende il nome di via Francesca). All’imbocco del percorso c’è pure un locale attrezzato a bivacco per i viandanti.

Ho firmato molte volte per la campagna “I luoghi del cuore” promossa dal FAI e, ovviamente, non ho mancato di farlo anche qui per il Castello di Sambuca. Ma è solo in un posto così, come questo borgo sperduto sull’appennino, che puoi capire fino in fondo il concetto di “luogo del cuore”.

Domani, meteo permettendo, la #vacanzaunaetrina prosegue nei boschi tra Campeda e Posola.